Ragusa Giovanni

GIOVANNI RAGUSA Artista, è nato a Shanghai, Cina, il 12 gennaio 1941. Attualmente vive e lavora a Firenze. La pittura si fa mare, mito, viaggio, è vita e la si affronta a bordo di una nave in continua peregrinazione, alla scoperta di luoghi favolosi, col pensiero fisso al ritorno, al porto… È il percorso che conta, non certo l’approdo. Anzi l’approdo sembra scontato e per un poco spaventa. Mentre il percorso preoccupa, occupa la mente prima dell’approdo. E la coscienza del viaggio, anzi dell’essere in viaggio, diventa il presupposto della coscienza dell’esistere. Giovanni Ragusa usa il mezzo più obsoleto che ci sia, la pittura, per l’indagine più naturale che ci possa essere, quella relativa alla propria esistenza, non quella che la filosofia porta avanti sulle sorti dell’umanità o sulla conoscenza del mondo delle cose, quella che l’individuo si pone dinnanzi al dramma di se medesimo. Ed è vero che il mare gioca nell’esperimento un ruolo perenne, fondamentale. Non il mare nel quale si va a nuotare d’estate, un mare minaccioso, un vasto elemento scuro e movimentato, al contempo un liquido amniotico agitato come la vita che sta sostenendo. Un mare che trasporta talvolta, che inghiotte spesso, o che va solcato remando a fatica su una barchetta fragile e sballottata. C’est la vie!… Giovanni Ragusa dipinge da lontane epoche abissali, da quando l’astrattismo e la sperimentazione oggettuale han cominciato a lasciar percepire la noia d’un mestiere troppo ripetuto. Ha deciso di tornare alla figurazione fra i primi nella nostra storia recente. Lo ha fatto in mille dimensioni diverse, secondo parametri alternati e poi si è come stabilizzato in un linguaggio dove tutte le pratiche imparate si sono fuse. Una sorta di deposito materico che viene ripulito, grattato, ricaricato con interventi successivi, a tal punto che per il curioso è estremamente interessante guardare anche il retro dei suoi dipinti dove vengono annotati gli interventi successivi che negli anni vanno a formare l’opera. E l’opera a sua volta può essere singola ma preferisce di solito accostarsi ad altre similari, che organizzano il sentiero del pensiero. Di queste opere sommabili la più intrigante è quella chiamata appunto OPUS. Nasce dal possesso d’un dipinto olandese degli anni nei quali fu maestro di tutti Rembrandt, e che è una sorta di ritratto rembrandtiano per poveri. Il dipinto seicentesco misura 68×63 cm. È privo di ambizioni, o forse non ha mai saputo di poterne possedere. Il miracolo lo ha compiuto Ragusa replicando centinaia di tele della medesima dimensione, che negli anni sono diventate l’esaltazione, la spiega e gli eredi dell’oggetto antico. Poiché la costruzione linguistica lo ha immesso in un percorso stretto dove la fantasia compressa ha lasciato filtrare sogni inquietanti. OPUS è la più lunga serie di autoritratti che sia possibile riscontrare nelle arti visive recenti: Ragusa in versione rematore disperato, in cieli contorti nelle coloriture, su mari d’ogni genere d’umore, Ragusa in versione piroscafo, Ragusa in versione pittore (esaltato!), Ragusa in versione trasognata dinanzi all’argomento infinito dell’eros, Ragusa in viaggio tra Cina, Palestina e globo terrestre, Ragusa in versione Pinocchio, Ragusa in versione sacerdotale, poetica, militare, militante, terrorizzato, pedinato, disordinato, osser vatore di ansie, di gioie, accompagnato da Raffaele Bueno come in un duetto che per momenti esistenziali imprescindibili s’avanza verso chissà dove. Giovanni Ragusa firmato Johnny Ragusa. Vent’anni di J.R., J.R., J.R., J.R., J.R… Teosofo aspirante erotomane. Una sorta di Osvaldo Licini rabbonito dall’ironia toscana. Costantemente frustrato da una malinconia siculo-ebraico-anglo-batava declinata in fiorentino. Illuminista credente… Viaggiatore senza scopo…Dedicato con determinazione all’insuccesso forse per reazione ad un mondo neanche troppo bastardo dove il successo è regalato ad ogni artigiano dell’immagine. Poeta. Oggi maestro. Firenze la tirchia regala a chi se lo merita una torre d’avorio nella quale rifugiarsi. Firenze la disinteressata alle arti d’oggi perché troppo affaccendata in quelle di ieri, troppo lusingata del suo primato consunto, lascia liberi di fare perché non crede comunque nel fare. Firenze la bella riesce, malgrado la sua accidia, a trasmettere il naturale senso dell’estetica. Firenze la statica genera equilibri dinamici e tesi. E Giovanni Ragusa, da quell’antro che è il suo studio sotto Piazzale Michelangelo, la guarda, sorride e fuma inutilmente cento canne. Philippe Daverio Settembre 2007

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